Pillole di Vix

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BARBARAMENTE CIVILI

I Celti, “Keltoi” per i greci, soprannominati “barbari d’occidente”, possono essere considerati un insieme di popoli conquistatori dalle matrici culturali comuni, il cui periodo di massimo splendore è compreso fra il 600 a.C. ed il 50 d.C.

Oltre ad un’eredità culturale ed artistica di grande rilievo, essi ci hanno lasciato importanti tracce della loro civiltà.

I Celti avevano un’organizzazione sociale particolare ed efficiente. Lo stato era un’entità troppo astratta e distante per essere il principio regolatore della loro realtà: maggiore importanza avevano la solidarietà fra consanguinei, la correttezza nei rapporti interpersonali e sociali ed il senso di appartenenza alla tribù.

Ogni tribù era formata da più famiglie i cui membri si richiamavano ad un antenato comune ed abitava un proprio territorio formato da una serie di insediamenti sparsi ed un centro principale dove si concentrava l’organizzazione difensiva e religiosa.

Durante l’espansione celtica, che abbracciò un territorio straordinariamente vasto (penisola iberica, l’attuale Gran Bretagna, gran parte dell’europa centrale ed orientale, Italia settentrionale e centrale, gran parte dei Balcani e dell’Asia minore), nonostante parti delle stesse tribù si fossero stabilite in zone differenti, non erano infrequenti dispute e battaglie per la conquista dell’egemonia su uno specifico territorio.

Questo modello implicava un’inevitabile frantumazione delle zone occupate e l’inconsistenza dei vincoli di solidarietà fra le diverse tribù. Il senso di appartenenza alla medesima tradizione culturale, linguistica o religiosa non fece mai nascere l’esigenza di una politica globale. Tuttavia, nei periodi di incombente pericolo esterno, veniva a formarsi un’eccezionale coesione, anche fra tribù abitualmente contendenti.

L’unità fondamentale della struttura sociale celtica era la famiglia che aveva una configurazione vicina al modello patriarcale; essa comprendeva il capofamiglia, con poteri legali illimitati sui membri della famiglia, la moglie (solo in epoca antica era diffusa la poligamia), i figli giovani ed i figli maschi adulti con le loro mogli e la loro discendenza.

Nonostante ciò, grande considerazione era riservata alle donne, di norma affidatarie della gestione degli interessi famigliari, che spesso ricoprivano cariche pubbliche rilevanti: non erano rari i casi di regine o profetesse.

Presso le popolazioni celtiche residenti in Gallia (Galli o Galati) ed in Irlanda, era in uso l’affidamento dei figli in tenera età a famiglie di rango più elevato, retribuite per le cure e l’istruzione che erano in grado di offrire. La fine del periodo di affidamento dei maschi terminava con la capacità e la destrezza nell’uso delle armi e culminava con il rientro nell’abitazione paterna; per le femmine, invece, era previsto il matrimonio, quasi sempre pianificato dalle famiglie degli sposi.

Tre le classi sociali riconosciute:

  • la classe sacerdotale, rappresentata da druidi, bardi e vati, che deteneva il potere spirituale;

  • la classe guerriera, rappresentata dall’aristocrazia militare (alla quale in seguito si aggiunse la casta dei cavalieri dalle lunghe spade) dai ranghi della quale veniva scelto il re, cui era demandato il potere temporale;

  • la classe produttrice, rappresentata dagli uomini liberi quali agricoltori, pastori, artigiani, commercianti ed intellettuali.

Vi era anche una classe di uomini “non liberi” che era esclusa dalle altre classi sociali e comprendeva gli appartenenti alle popolazioni soggiogate, gli schiavi ed i membri delle famiglie che per qualche grave ragione avevano perso i loro diritti.

Intorno al tavolo, i Celti erano noti per la massima cura dell’igiene ma anche per la loro ingordigia.

Il loro pasto consisteva in abbondanti quantità di pane e di carne, sia bollita sia arrostita sui carboni ardenti, oppure allo spiedo. La carne, che principalmente era di manzo, montone, cervo, maiale e cinghiale (questi ultimi preparati anche in salamoia), veniva staccata dall’osso con uno stiletto in ferro, immancabilmente portato alla cintura insieme alla spada od all’ascia. Anche il salmone affumicato era molto gradito. Un guerriero valoroso arrivava a consumare, in un solo banchetto, un intero maiale.

Il cibo era servito in piatti di terracotta, di bronzo o di legno ed il condimento più usato per la cucina era il burro, mentre l’olio era poco impiegato.

La bevanda dei ricchi era il vino, consumato puro (si trattava di un vino concentrato) od allungato con poca acqua, spesso aromatizzato con erbe e spezie, che veniva preparato in un apposito recipiente di grosse dimensioni (anche oltre mille litri),  chiamato “cratere” ed attinto e mesciuto con una coppa detta “attingitoio”, entrambi finemente lavorati e decorati. La gente comune beveva birra di fabbricazione domestica (korma), ricavata dall’orzo e talvolta migliorata con l’aggiunta di luppolo e semi di carvi (cumino dei prati).

Quando il pasto si consumava con un elevato numero di commensali, il protocollo prevedeva che ci si sedesse a terra in cerchio su delle pelli, impiegando bassi tavolini per appoggiarvi cibi e bevande. Il posto d’onore, riservato all’individuo di maggior rango o valore cui si riservava la coscia perché considerata la parte migliore, era al centro del cerchio.

Durante i banchetti, per intrattenere gli intervenuti, si svolgevano incontri di lotta, talvolta cruenti, ed i bardi cantavano le lodi dei presenti, in particolare degli ospiti. Comunque, il pasto era sempre offerto prima di discorrere di affari.

Data la vastità geografica delle loro conquiste, molte sono le tradizioni che ci sono pervenute, seppur modificate nel tempo. Una di queste, è la festività del primo di maggio.

I Celti la chiamavano “beltane” che significava “festa dell’arrivo della stagione chiara” (per le popolazioni mediterranee iniziava qualche settimana prima, a causa delle condizioni climatiche) ed in senso esteso “festa del fuoco solare che ravviva la terra, festa della fecondità e festa dell’amore”.

                                                                                                                                          Asterix, Obelix ed Idefix:
                                                                                                                                          tre Celti d’eccezione
L’usanza druidica di far passare, in quel giorno, il bestiame attraverso sterpaglie in fiamme per purificarlo dopo il lungo inverno e proteggerlo dalle malattie e dagli spiriti maligni prima dell’avvio ai pascoli estivi, trova ancor oggi riscontro nel nord Italia dove in diverse regioni, nello stesso periodo, si bruciano roghi sugli alpeggi gettandovi dischi di betulla forati (ad esempio, i “cidulis” friulani) che vengono poi lanciati con diverse modalità e per diversi fini fra i quali la dichiarazione d’amore verso la propria amata da parte dei giovani in età da matrimonio.

Un’altra usanza druidica ancora attuale in Sud Tirolo, Austria, Svizzera e Baviera è quella dell’affissione di una ghirlanda ad un palo, prototipo del celtico “albero di maggio”.

APPENDICE
La principessa di Vix


Una donna molto bella, semplicemente pettinata e dai lineamenti fini ed
austeri.

Al collo una collana d’ambra(1), ambra nera(2), diorite(3) e serpentino(4), alla caviglia un anello in bronzo, ai polsi bracciali di lignite(5), e indosso fibule ed altri oggetti con castoni di corallo. La testa ornata da un collare aperto, interamente d’oro, con alle estremità due voluminosi tamponi e due cavallini alati, appoggiati su piedistalli di filigrana d’oro e fili di minuscole perle, autentico capolavoro di un orafo celtico, esperto anche delle tecniche mediterranee.

Al suo fianco, un imponente cratere di bronzo munito di coperchio, originario della Magna Grecia, una coppa d’argento dall’ombelico dorato protetta da un involucro vegetale, due coppe attiche ed un’oinochòe(6) etrusca di bronzo.

Diversi bacili(7) etruschi simili a quelli raffigurati negli affreschi di Tarquinia, allineati lungo una parete ed il pavimento pigmentato di blu e di rosso.


Ella giaceva adagiata sulla cassa di un piccolo carro, le cui ruote erano state smontate ed appoggiate anch’esse alla parete.

Era una principessa: la principessa di Vix.

Per lei, il tempo si era fermato: la morte la colse nel pieno della vita, a soli trentacinque anni.

Era l’anno 1953, ai piedi del Mont Lassois, non lontano dal villaggio di Vix, in Borgogna, quando venne rinvenuta la sua tomba, risalente al 480 a.C., una delle più straordinarie sepolture celtiche mai portate alla luce.


(1)
Resina fossile di conifera
(2)
Varietà di lignite, nera e lucentissima
(3)
Roccia eruttiva cristallina di colore verdastro
(4)
Minerale cristallino monoclino (ad unico piano di simmetrìa) di colore variante
     dal verde-giallastro al nero con screziature

(5)
Carbone fossile di medio grado di carbonizzazione con spiccata struttura legnosa
     di colore variabile dal giallo brunastro al nero

(6)
 
Vaso a forma di brocca ad ansa unica, usato per mescere il vino
(7)
Grande piatto di metallo, piuttosto profondo, impiegato per lavarsi o per contenere acqua
     durante le cerimonie.


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