Pillole di Vix

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IL MAGO, L'ARTISTA E L'ALDILA'

L'affascinante arte egizia è una straordinaria sintesi di architettura, pittura, scultura e musica.

Oltre alla più nota arte figurativa funeraria, esisteva anche l'arte per i vivi a carattere ufficiale e narrativo.

Sono giunte a noi immagini celebrative di vittorie e decorazioni di templi, nonché prove di scuola, schizzi ed appunti riportati sugli ostrakon (frammenti di terracotta o di pietra calcarea) o sui papiri.

Nel V secolo a.c., Erodoto, dopo un approfondito viaggio in terra egizia, narrò che quel popolo fu il primo a consacrare altari, statue e templi, a determinare l'inflessibile svolgersi del destino umano, a sostenere che l'anima umana è immortale ed a scolpire figure umane nella pietra. Arrivò anche ad affermare che aveva trovato gli egizi i più scaltri ed i più saggi fra gli uomini.

Il principale tema sociale dell'antico egitto era quello magico-religioso. Arte magica, dunque, come nella preistoria.

Mentre lo stregone preistorico creava di volta in volta la sua realtà, l'artista egizio era chiamato a dare vita ad una realtà eterna con lo scopo di sconfiggere la morte e di creare le condizioni necessarie perché il defunto potesse continuare a vivere la sua esistenza, in tutto uguale a quella mortale, in una nuova sede: la tomba. L'arte funeraria non era quindi mai fine a se stessa ma legata al tempio, alla tomba o all'uso quotidiano di cui doveva essere parte integrante.

Così recitava il Libro dei Morti (una raccolta di regole che guidavano il defunto): "Ch'io possa ivi mangiare, bere, arare, procedere al raccolto, combattere, amare". A parlare, non era l'anima del defunto (chamata "ba" dagli egizi ) che appena liberata dal corpo assumeva forma di uccello e volava via nell'aria ma il "ka", ossia l'alter ego o "doppio spirituale" dell'uomo, presente nel corpo fin dalla nascita. Era il "ka" che assicurva la sopravvivenza, a patto che le regole e soprattutto le funzioni magiche (a cui contribuivano, oltre all'artista, i sacerdoti e gli imbalsamatori) venissero perfettamente applicate ed eseguite.

L'artista, affinché il "ka" potesse rivivere attraverso le raffigurazioni identificandosi con esse, doveva sottostare a rigorose e predeterminate regole per garantire che le figure rappresentassero il soggetto nei suoi più tipici aspetti di vita. Per realizzare ciò, fondamentali erano la somiglianza del viso del defunto ed il suo nome accanto alla sua immagine (la valenza magica del nome è un elemento ricorrente nel mondo antico).

La mummia e le statue avevano il compito di garantire che il "ka" sopravvivesse permettendogli di reincarnarsi, mentre le figurazioni dipinte o scolpite sulle pareti della tomba ricreavano le condizioni della vita del defunto dopo la sua morte.

In definitiva, compito dell'artista era quello di rendere al meglio il concetto secondo cui nulla cambia dopo la morte.

Nei tempi più antichi, per assicurare la continuità dei servigi al padrone defunto, si uccidevano i suoi servitori affinché lo seguissero nella tomba. Con il trascorrere del tempo, ci si rese conto che ciò era poco pratico, poco convieniente in termini economici e, con il progressivo democratizzarsi del rituale funebre, meno gradito. Fu così che intervenne la magìa, ed i servi cominciarono ad avere salva la vita: erano sufficienti un modellino in legno o argilla ed un incantesimo ben preparato per avere la certezza che l'immagine del servo sarebbe rivissuta nella tomba, sempre pronta a soddisfare i comandi del suo signore.

La sussistenza del defunto veniva assicurata dalla presenza di abbondanti provviste, vere o raffigurate, come anche di non esigue offerte. Per garantirla, veniva pronunciata una semplice formula: "Mille forme di pane, mille nappi di birra, mille buoi, mille oche, ..., per l'anima di ...". Ciò bastava per il reintegro della scorta delle provviste.

La figura dell'artigiano-artista era comunque quella di un esecutore: l'unico ideatore era sempre il sacerdote nella qualità di vero e proprio mago. La figura del mago era fondamentale e ricorrente nell'antico Egitto, tanto che la tradizione annovera molti famosi maghi fra i principi di sangue reale.

La forza della magìa era tale da riuscire ad ingannare addirittura il tribunale divino, che era deputato al giudizio del comportamento morale del defunto ed aveva il potere di distruggere, se necessario, il "ka" dei malvagi.

L'artista dell'antico egitto aveva anche problemi pratici, nello svolgimento del suo lavoro.

L'intensificarsi della domanda creò i presupposti per la nascita di vere e proprie botteghe specializzate e portò ad un'estrema razionalizzazione dell'operare artistico, con la tendenza ad una sua semplificazione in formule e schemi fissi, garantendo comunque sia una pronta soddisfazione del cliente che un buon livello qualitativo.

Nelle statue dominava il principio della frontalità; in particolare, nel viso, quello della simmetrìa, che ne rendeva perfettamente uguali le due parti (mentre in natura, vi sono sempre asimmetrìe).

Nella pittura e nei bassorilievi la testa veniva rappresentata di profilo, l'occhio, le spalle ed il corpo di fronte, le gambe ed i piedi nuovamente di profilo. Una tale modalità di raffigurazione non solo era più pratica ma consentiva di meglio cogliere e ricordare le vedute essenziali della figura umana.

Gli artisti si attenevano ad uno schema che assicurava le corrette proporzioni alle figure, indipendentemente dal formato nel quale venivano realizzate.

Si procedeva suddividendo la superficie muraria o della pietra con un reticolo a maglie quadrate uguali. Il reticolo, che era di diciotto unità secondo il canone primitivo e di ventidue unità secondo il canone tardo, precedeva il disegno e predeterminava il risultato finale. Le linee passavano sempre per le stesse parti del corpo e consentivano al pittore ed allo scultore di organizzare al meglio la figura da rappresentare.

 

canone tardo

 

righe orizzontali

 

 

parti del corpo

 

 

ventiduesima

 

 

testa

 

 

diciottesima

 

 

spalle

 

 

 

tredicesima

  

 

 

 ombelico

 

 

 

sesta

 

 

  

 

 ginocchia

 

 prima

 

 caviglia

 

La parte superiore della testa non veniva mai calcolata: nel canone primitivo l'ultima riga passava sopra l'osso frontale mentre nel canone tardo sopra l'attaccatura dei  capelli.

A questo proposito, può essere analizzato un bassorilievo: si tratta del bassorilievo in calcare colorato intitolato "Sethi I e la dea Hathor" collocato originariamente sullo stipite della tomba di Sethi I, nella valle dei Re, datato fine XIV secolo a.c. (oggi esposto presso il Museo Archeologico di Firenze).

 

 

     

 

 


 

 





Dividendo in riquadri la figura, si trova la conferma di una realizzazione nella quale tutti gli elementi trovano rigorosamente posto secondo il modulo previsto dal canone tardo.


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